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Thursday, March 19, 2009

Crisi della Razionalità Speculativa, L'autunno della Finanza

“Dall'inganno superficiale l'uomo passa all'inganno interiore. Ad ogni nuova crisi, però, diviene sempre più intensamente conscio di un mutamento che non è un mutamento, ma piuttosto l'intensificazione di qualcosa profondamente celato dentro di lui.”
In queste parole del romanziere statunitense Henry Miller va ricercato il senso della crisi: essa è qualcosa di profondamente connaturato all'essere umano. Infatti, il nostro essere comincia soltanto nel punto in cui l'esistenza stessa vine posta in pericolo; nel momento in cui si delinea la crisi. Per meglio chiarire questo concetto, cercherò di mostrare il ruolo della crisi in un ambito che tutti conosciamo intimamente, per poi passare all'ambito economico.
Nel momento in cui diciamo “io sono”, ci affermiamo nell'essere in quanto discontinuità rispetto ad esso. Ciascuno di noi è perché ha coscienza di sé; può, cioè, distinguere se stesso da tutto il resto, da tutto ciò che è altro. La parola, il logos, ci permette di affermare questa distinzione; ci permette di uscire da un'indistinta continuità contrapponendosi ad essa. La ragione emerge dalla non-ragione, la razionalità dall'irrazionale. La razionalità contraddistingue dunque l'essere umano. Ma l'uomo non è solo ragione: egli ama, si appassiona, si commuove. Queste componenti dell'uomo non sono semplicemente irrazionali, al pari delle pulsioni animali, poiché esse tendono alla non-razionalità partendo dalla ragione; potremmo dire che vanno oltre la ragione, che la oltrepassano. L'essere umano è quindi un essere eterogeneo, dotato di una componente razionale e di un'altra oltre-razionale. Ma cosa accade se l'uomo dimentica la sua natura eterogenea, credendo di essere pura razionalità? Questa dimenticanza vige in una certa interpretazione delle parole di Cartesio e nelle correnti che su questa si fondano. “Cogito ergo sum”: se essere è cogitare, cosa ne è di tutto ciò che è oltre il pensiero, nonché della sua stessa origine? La ragione, in sé, è mero calcolo. Essa ha senso solo se orientata ad un fine che la trascende e che si trova nell'eterogeneità dell'essenza umana. L'uomo usa la ragione per agire sul mondo, con il fine di realizzarsi, di realizzare il proprio essere. Nel momento in cui si chiude su se stessa, senza guardare al fine trascendente a cui tende l'uomo, la ragione diventa sterile.
E' qui, quando la natura dell'uomo viene obliata, che entra in gioco la crisi. La crisi è crisi della ragione; essa pone davanti alla razionalità il vuoto di senso. La crisi è la violenza di un inevitabile ritorno all'origine e, per questo, spaventa ma al contempo attrae. Come un buco nero attira a se, per distruggerla, la struttura razionale che, dimenticando le sue fondamenta, si era ridotta a pura speculazione.
Parallelamente, in ambito economico, possiamo parlare del passaggio dal ciclo merce-denaro-merce [M-D-M] alla logica denaro-merce-denaro [D-M-D']. Nel caso M-D-M la moneta e la merce si trovano su due piani distinti. La moneta è la misura che mantiene in equilibrio lo scambio. Il mercante usa la moneta per scambiare, ma il suo fine non è lo scambio in sé. Il fine di questo tipo di scambio è il consumo, consumo volto a soddisfare la duplice natura dell'uomo: produzione di cibo per mangiare, costruzione di chiese per pregare e di stadi per giocare, di biblioteche per studiare e di infrastrutture per comunicare, di teatri per recitare e così via. L'accumulazione è un mezzo per accedere alla libera funzione del consumo, sia produttivo che, in ultima istanza, improduttivo.
Nella logica D-M-D' la moneta perde la sua natura trascendente e diviene una merce fra le merci. Nella logica capitalistica il denaro viene utilizzato per acquistare delle merci le quali, dopo essere state organizzate, combinate, trasformate e rivendute devono portare ad una quantità di denaro maggiore di quella iniziale (D'>D). A questo punto il ciclo non può che ricominciare da capo: la merce/denaro D' verrà scambiata per poter arrivare ad un D''>D' e così via, in un ciclo senza fine. Si potrebbe obiettare che non tutti i profitti devono essere necessariamente reinvestiti; parte di essi potrebbe essere liberamente consumato, nel senso inteso sopra. Così effettivamente accade quando non vale la disequazione D'>D in modo sistematico. Se, tuttavia, essa vale sistematicamente, ciò significa che il consumo non è libero ma, piuttosto, ancorato ad una logica che vuole la continua accumulazione attraverso la perdurante implementazione di se stessa. Ancora una volta, la logica dimentica la sua origine e perde il senso divenendo sterile; diviene finanza puramente speculativa.
Qui inizia quello che lo storico Fernand Braudel chiama “l'autunno della finanza”. Autunno perché si affaccia sul baratro del gelido buco nero che è la crisi. La struttura speculativa finanziaria mostra la sua estrema fragilità di fronte al vuoto di senso della crisi, e viene polverizzata in un istante dalla violenza che la riconduce nel profondo nulla da cui è sorta.
Da questa breve riflessione possiamo trarre alcune semplici conclusioni. Innanzi tutto, la crisi è l'effetto di un movimento di ritorno all'origine. Fa parte della natura dell'essere, dell'uomo. Tuttavia, essa si manifesta solo nel momento in cui viene persa la misura, nel momento di smarrimento esistenziale. Se questa misura viene mantenuta e, con essa, anche la consapevolezza della natura eterogenea dell'essere, è possibile mantenere un equilibrio stabile. Il movimento di ritorno all'origine viene, in questo caso, istituzionalizzato e può svolgersi all'interno del ciclo naturale di nascita-vita-morte, senza crisi ne vuoti di senso. Ma cosa significa, concretamente, il mantenimento di questo equilibrio?
Sul piano della nostra esperienza interiore significa non oblio dell'eterogeneità, quindi consapevolezza della duplice natura dell'uomo, razionale e trascendente. Sul piano economico, significa salvaguardia delle istituzioni che hanno il compito di mantenere stabile la moneta, riconoscendole il ruolo di misura trascendente, e di regolare lo scambio. Sul piano politico, significa attenzione alle dinamiche di formazione dell'opinione pubblica e controllo, da parte di questa, sulle istituzioni cardine della democrazia.
Sul piano culturale che, a mio avviso, è quello da cui derivano anche le tre dimensioni precedenti, mantenere l'equilibrio significa controllo vigile delle istituzioni di produzione, riproduzione e distribuzione simbolica del sapere.

Dario Pagnoni
d.pagnoni@hotmail.com

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