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Thursday, March 19, 2009

Tutte le ombre sulla crisi

La crisi finanziaria a cui stiamo assistendo con stupore e con crescente apprensione da qualche mese a questa parte era annunciata da diversi segnali (inascoltati) di cedimento e di tracollo ha reso evidente le inadeguate modalità di regolazione dei mercati che si sono dimostrate inefficaci nonché bisognevoli di profonde riforme. Capire quali sono le sue conseguenze ed elaborare un modello di mercato maggiormente regolato che estirpi alla radice i fenomeni sott’accusa della finanza moderna è un processo complesso. Per affrontare un tema così delicato e sviluppare alcuni punti critici di queste dinamiche ci siamo fatti aiutare da un esperto, Andrea Di Stefano, direttore del mensile di economia e finanza etica "Valori", redattore di “Affari e Finanza” e collaboratore di Radio Popolare come interlocutore nelle materie economiche.

La maggior parte dei media, occupandosi della crisi finanziaria, ha focalizzato la propria attenzione sulla bancarotta di grandi banche, su bilanci in perdita e su licenziamenti eccellenti. In pochi, invece, si sono chiesti chi ci ha perso veramente e quali categorie, all’interno della società, pagheranno il prezzo più alto di questa pesantissima crisi.

A pagare saranno innanzitutto i contribuenti americani dato che, per come si sta prospettando il piano di salvataggio, sarà un’operazione a carico delle finanze pubbliche con un incremento del debito americano e un costo complessivo che è stato stimato attorno ai 2.800 dollari per ciascun cittadino statunitense.
Restando negli Stati Uniti bisogna inoltre considerare alcuni milioni di persone (si parla di 5 milioni con margini in aumento) che erano cadute nell’offerta volutamente sbagliata e fuorviante dal punto di vista informativo della facilità del mutuo e che adesso hanno perso la speranze di avere una casa di proprietà.
Pagano i lavoratori perché questa crisi provoca la perdita di posti di lavoro a partire dal settore della finanza: a parte i grandi manager e i grandi broker si calcola un mezzo milione di posti persi nell’industria finanziaria a livello globale.
Accanto a questo numero, tuttavia, si potrebbero aggiungere le conseguenze di una dinamica difficilmente controllabile e che potrebbe coinvolgere le grandi industrie automobilistiche per tutte le modalità di vendita che hanno adottato negli ultimi 15 anni con un forte profilo finanziario, nonché il settore delle carte di credito che, come è noto, è considerato uno di quelli più a rischio.
Oltre a questi che sono i soggetti più direttamente colpiti non bisogna dimenticare gli effetti indotti della crisi e il meccanismo recessivo da essa innescato (che di per se non trova radici in particolari ragioni strutturali tali da determinare degli effetti così dirompenti): perdita di posti di lavoro ulteriori, un tasso di disoccupazione che negli Stati Uniti è al picco e un contagio della crisi verso una parte dell'Europa. Sicuramente l’Inghilterra che è l’altra faccia della medaglia del modello e dell’industria finanziaria anglosassone e che è stata oggi detronizzata dopo i successi del boom iniziato con la deregulation di fine anni ’80 caratterizzata dal proliferare incontrollato di prodotti finanziari, spesso così astrusi, complessi e ingegnerizzati da risultare incomprensibili agli stessi operatori di finanza. Non bisogna poi dimenticare la Spagna, che più di altri aveva sposato il modello di crescita basato sul boom immobiliare: forse lo stesso sorpasso sull’Italia di cui molto si è parlato negli ultimi mesi non è altro che una bolla che sgonfiandosi rischia di fare grossi danni per l’economia
Brutte sorprese si preannunciano, in prospettiva, per il sistema dei fondi pensione: essendo stata trasferita una consistente quota di risparmio dei singoli dalle pensioni pubbliche a quelle private con l’obbiettivo di destinarle ai mercati finanziari, se questi crollano in molti portafogli di fondi pensionistici si registreranno perdite considerevoli.

A fronte di una crisi così ingente quali sono stati gli interventi messi in atto dai governi e dalle banche centrali? Sono adeguati?

Quasi tutti sostengono che probabilmente non c’era alternativa al piano messo a punto da Paulson per il salvataggio. Questa però è una falsa risposta: dalla crisi dei sub-prime a oggi sono infatti passati 13 mesi ed era evidente da subito che i “5 dei di Wall Street” fossero in difficoltà. Emerge in questo lasso di tempo la mancanza del ruolo del regolatore: come sempre accade in finanza rapidità, chiarezza e incisività degli interventi sono fondamentali. Trascinare la crisi per 13 mesi è stata una pessima scelta, gli interventi fatti finora non sono stati incisivi, sono stati tutti provvedimenti-tampone. Gli unici interventi reali li ha fatti la BCE quando ha alzato al 12% lo sconto sui prodotti più esposti obbligando il sistema ad alzare i livelli di protezione e di garanzia.
Le dimensioni della crisi sono talmente rilevanti e il buco di bilancio così notevole che nemmeno l’opzione di uscire dalla crisi con il solito conflitto sembra percorribile: sembra piuttosto delinearsi come un evento epocale che ridistribuisce le logiche di potere sottraendo definitivamente agli Stati Uniti l’egemonia sul mercato finanziario.

Alla luce degli errori compiuti finora e in prospettiva futura quali sarebbero delle strategie più idonee ad evitare crisi di questo tenore?

Guardando al passato, alle prime avvisaglie della crisi si sarebbe dovuta costituire un’autorità internazionale e sovranazionale di regolazione dei mercati con poteri di regolazione, obblighi di trasparenza molto forti e con la possibilità di mettere a punto piani di intervento per riportare progressivamente sotto controllo i mercati non controllati.
Per esempio sui mercati OTC (over the counter), che non si possono bloccare improvvisamente poiché le dimensioni di quei mercati sono ormai enormi, si poteva ipotizzare l'istituzione di uno staff di emergenza che nell'arco di qualche mese avrebbe dettato nuove regole di trasparenza sul mercato degli OTC e lo stesso vale per quello dei derivati o delle opzioni.
Altri interventi come quello di pochi giorni fa della SEC che stabilisce dall’oggi al domani il divieto di short selling per 4 mesi su più di 450 titoli di Wall Street suonano incoerenti con il permissivismo in tema di short selling e di hedge fund, strumenti da anni oggetto di critiche mai accolte. Un intervento concertato di banche centrali e delle autorità di regolazione che coordinino una strategia di intervento per riportare sotto controllo i mercati entrati in crisi sembra pertanto più auspicabile.
Dal punto di vista politico e in prospettiva futura si possono rivendicare alcune misure per combattere la speculazione: gli evidenti rincari sulle commodities dimostrano come sia indispensabile stroncare parte della speculazione sui mercati delle opzioni sulle materie prime. Se prendiamo il petrolio, ad esempio, non ci sono ragioni oggettive di mercato che determinano fluttuazioni così accentuate del prezzo al barile: uno strumento efficace verso questi comportamenti è sicuramente la leva fiscale, non tanto per ottenere risorse aggiuntive quanto per portare in evidenza e in trasparenza il comportamento degli operatori e le dimensioni reali delle speculazioni.
Si potrebbe poi operare nel senso di maggior trasparenza, non per vietare ma per imporre la dichiarazione di alcune operazioni sul mercato, come potrebbe essere l’obbligo per gli OTC di rendere meno oscuri i termini dei contratti dal momento che nemmeno gli organi internazionali sanno cosa avvenga in questi tipi di mercati. Ancora, l’obbligo di avere informazioni sulla solidità della controparte e l’innalzamento dei limiti di garanzia
Da ultimo, considerando il mercato dei derivati e delle opzioni, non è tanto da condannare la sua funzione che di per sé non è malata ed anzi ha una sua logica. Il problema si pone quando quest’ultima viene abbandonata e l’unica filosofia è fare prodotti solo per creare movimentazioni finanziarie e una ulteriore voce di guadagni per chi opera in quel settore. Anche in questo caso sarebbero auspicabile un innalzamento dei limiti di garanzia per gli operatori in funzione del capitale versato.

Giandomenico Potestio

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