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Monday, September 7, 2009

lezioni sulla crisi - report






Oggi, dalle comode poltrone dell'aula magna nella sede in Via Roentgen, ho assistito ad un dibattito, rispetto alla crisi, tra governo (nell'angolo destro, in blu Giulio Tremonti) e l'opposizione (nell'angolo sinistro, in rosso, Enrico Letta).
Ad essere onesti gli interventi sono stati più una lezione, come promesso dalla locandina, che un dibattito, ma andiamo con ordine.
Guido Tabellini, nel suo discorso introduttivo, è stato molto chiaro, rispetto a quali siano i cattivi che hanno segato le gambe all'eonomia mondiale:
- la leva finanziaria, negli anni passati, ha raggiunto valori eccessivi, cosi che fosse un attimo passare da situazioni molto positive, a situazioni di indebitamento eccessivo. Proprio questo indebitamento ha portato, al tanto sottovalutato rischio sistemico, che come un'epidemia si è portato nel baratro banche e intermediari.
-il sistema di compenso (esagerato) dei manager e dei team leader, ha fatto venire l'acquolina in bocca ai colletti bianchi di wall street, che hanno chiuso il loro moral hazzard in un barattolo di burro di arachidi, e hanno cominciato a marciare sulle spalle degli azionisti.
-una politica monetaria che non si è preoccupata più di tanto del rischio finanziario.
-squilibri globali. Questo punto mi sta particolarmente a cuore, Tabellini infatti sostiene che (viste anche le politiche di partecipazione adottate al g20) la partecipazione dei paesi "in via di sviluppo" alla finanza mondiale, è decisamente sottovalutata e ostacolata. Nonostante la crisi, ancora non si è capito che bisogna intervenire (e quindi far partecipare) in quei paese dove i capitali sono effettivamente impegnati. La liquidità dei paesi piccoli, ma MOLTO produttivi, non va curata alla pari di quella di USA e UE.

Il Rettore sostiene, come anche gli altri interlocutori, che la salvezza stia nel mezzo. Che si debba afforntare la crisi senza peccare di ottimismo e liberismo, ma nemmeno tuffarsi a pesce su una politica restrittiva, per evitare la chiusura dell'accesso al credito. Anche lui sostiene l'importanza della tempistica di intervento e rimozione degli stimoli finanziari, che tanto si stanno spendendo in questi mesi.


In Italia la situazione è complicata. I problemi sono quelli di sempre, il debito pubblico esagerato (118% del pil, previsto nel 2010), legato soprattutto alla bassa crescita di investimento e mercato del lavoro. Le soluzioni che sono emerse, considerando anche il resto del dibattito, sono una ricapitalizzazione del sistema bancario, ma sopratutto una serie di misure diverse da quelle adottatte nei paesi anglosassoni. Infatti se in Inghilterra ci sono 40 multinazionali che è sufficinete salvare per risolvere la crisi, in Italia di multinazionali ce ne sono 5, e sicuramente la nostra economia si basa su ben altri soggetti, cioe i 4 milioni che ogni mattina alle 6 alzano la serranda della loro propria attività. Lo stato, quindi, dovrebbe occuparsi, ancora una volta, di riformare la situazione delle piccole medie imprese, che oggigiorno si trovano circondati da una legislazione risalente agli anni 70.


Tremonti, dopo aver impartito una lezione di filosofia cartesiana, accusa l'economia moderna di aver avuto l'arroganza di credersi scienza in grado di regolare il mercato con leggi universali, dimenticandosi che ogni caso concreto è diverso a seconda dell'ambiente in cui avviene. Il Ministro, poi, minimizza la crisi, a settembre 2008, infatti, si pensava di andare incontro ad una guerra, perderla, e senza neppure aver combattuto. Invece le perdite sono state molto limitate, dai salvataggi e dal recupero (più veloce in USA) delle economie locali. Insomma la crisi sistemica non è stata cosi mostruosa come tutti pensano. Alla domanda "perchè la crisi"? Tremonti risponde che gli stati sviluppati stanno gestendo male la globalizzazione, in 20 anni di mutamento mondiale, infatti, i capitali si sono redistruibuiti sul globo, MA i centri nevralgici della finanza sono rimasti gli stessi. Gli stati, invece che investire in capitali monetari, avrebbero dovuto occuparsi dei capitali umani e di strategie "geografiche". Anche Tremonti guarda all'Italia con occhio critico, sottolineando l'eterno divario nord/sud e auspicando una riforma federale, che permetta di appianare le asimettrie forzate del nostro paese, dove metà del territorio è fuori dalla rappresentazione politica e dalla lotta all'evasione. In due parole "democaticità economica".


Letta apre il suo intervento con una romantica citazione dei Promessi Sposi (in cui Don Abbondio descrive la peste come un fuoco depuratore, più o meno insomma) come l'acume dei lettori suggerirà, basta sostituire la parola "peste" con "crisi" e si ottiene la visione catastrofica e insieme pulitrice di quello che abbiamo vissuto engli ultimi mesi. L'analisi del Deputato è molto più politica, prima con uno sguardo alle Americhe (dove la classe politica non è riuscita a porre un freno all'incubo dei mutui, ma ancora peggio ha influenzato le scelte della FED) poi con riferimento alla situazione Europea, dove il susseguirsi di leadership diverse (prima il potere forte della Francia, poi quello debole della Repubblica Ceca) ha paralizzato la possibilità di riforme consistenti (questo punto ricordatevolo, perchè tra poche righe scatenerà l'inferno).
La ricetta di Letta è una fusione tra le quote europee e i fondi comunitari, in modo da conentrare i captiali in un solo ptere forte (anche Tabellini parlava di un solido governo globale). Letta poi chiude con una bella frase "la crisi è figlia della diseguaglianza".

E' passata quasi un'ora emmezza, ed evidentemente è ora di scannarsi un po'. Tremonti si prende a cuore la frecciatina sulle riforme, rincarata dall'accusa "è colpa vostra", e senza più tante riserve esprime il suo dissenso con un "ho aspettato, per cercare di rimandare il più possibile il talk show televisivo"... e comincia la bagarre. Il Ministro comincia ad elencare le attività fatte nei 14 mesi del governo Berlscuoni (nucleare, università, sicurezza), e Letta risponde con dati concreti, denunciando la mancanza di riforme nei confronti di lavoratori parasubordinati e a tempo indeterminato. C'è astio, ma io sono contento perchè la tipina bionda con i pantaloni rossi che mi sta di fianco, ride con me.


Discorso interessante, tanta gente e momenti di viva ilarità (uno su tutti quando Tremonti, in difficolta con il microfono, annuncia "sono stato costretto al silenzio, dagli economist!"). Ora che ho capito qualche cosa di questi ultimi mesi, potrò bullarmi la prossima volta che salta fuori un discorso serio. Mica poco eh.


P.S. le poltroncine dell'aula magna sono su un altro livello, schiacci in giu il seggiolino come al cinema e bzzzzz salgono anche i bracciali. voto 8. Grazie Dante.

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