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Thursday, September 24, 2009

L'impronta ecologica

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Il PIL (Prodotto Interno Lordo) è considerato la misura della ricchezza prodotta in un paese in un anno. Da sempre, ma con particolare insistenza negli ultimi mesi di crisi finanziaria ed economica, sentiamo parlare su tutti i mezzi di comunicazione dell'andamento del Pil: sui giornali di oggi trovo Draghi che afferma «Secondo stime largamente condivise, nella media del 2009 la caduta del Pil rispetto all'anno precedente, risulterà in Italia intorno al 5 per cento»; trovo i dati della Casa Bianca che parlano di un aumento del 2% del Pil già dal 2010 e così via...


Ma cosa misura il Pil? E' veramente un indicatore adeguato del benessere collettivo? Come risposta a queste domande è illuminante il discorso tenuto da Robert Kennedy il 18 marzo 1968 all'Università del Kansas, tre mesi prima di essere assassinato proprio a causa della sua presa di coscienza.


Potete sentire il discorso di Kennedy nel video sottostante oppure leggerlo cliccando qui.



  


L'impressione che il Pil sia un indicatore di misura poco significativo si è diffusa sempre più, al punto che sono stati sviluppati diversi indicatori alternativi. Uno di questi è l'Indice di Progresso Genuino, comunemente chiamato con l'acronimo inglese GPI (Genuine Progress Indicator).
Il Gpi misura l'aumento della qualità della vita di una nazione partendo dal presupposto che la crescita del Pil ha costi e benefici. Esso distingue quindi le spese positive, che aumentano il benessere, da quelle negative (crimini, inquinamento, incidenti, …), dando così informazioni sulle minacce per il benessere della natura e dell'uomo in un'ottica di sostenibilità presente e futura.


L'utilizzo del Gpi sui dati storici dimostra che, sebbene il Pil sia cresciuto continuamente a livello mondiale fino ai nostri giorni, il benessere crebbe fino agli anni '70; da allora il Gpi decresce, rivelando una crescita antieconomica, ovvero non sostenibile e quindi autodistruttiva.


Questa consapevolezza porta a varie ipotesi sulle possibili prospettive future: dal passaggio ad un post-capitalismo, caratterizzato da un tasso di interesse negativo e basato sulla decrescita, alle più drastiche e catastrofiche previsioni... Tutte teorie molto interessanti ma che non ho intenzione di approfondire in questa sede (si leggano, ad esempio, Wim Dierckxsens, La crisi mondiale del XXI secolo o altri economisti come Latouche o Attali).


Piuttosto, la mia intenzione e di agganciarmi alla tematica dell'impronta ecologica. L'impronta ecologica è un metodo per misurare l'impatto umano sulla capacità sostenibile della Terra attraverso il calcolo della superficie di territorio necessaria per produrre, in un anno, le risorse consumate da una persona, una comunità o un paese in termini di prodotti, generi alimentari, energia e per assimilare e smaltire i rifiuti e le emissioni. In questo modo si stima che, a fronte di una biocapacità disponibile di circa 1,8 ettari a persona, nel 2001 l'impronta media mondiale era di 2,2 ettari pro capite. L'impronta ecologica supera quindi la biocapacità del 20%, e questa percentuale è in continua crescita (anche per via dell'andamento demografico).
Senza considerare che il 20% della popolazione mondiale – tendenzialmente residente nel Nord del mondo – è responsabile dell'80% dell'impronta ecologica mentre oltre la metà della popolazione – che risiede invece nel Sud del mondo – non può soddisfare neppure le sue esigenze fondamentali!


Esistono diversi siti internet che permettono, con approssimazione più o meno elevata, il calcolo della propria impronta ecologica. Fra questi: footprintnetwork.org , Pandora , Earthday.net – anche se i migliori non sono ben calibrati per un cittadino italiano.


Al di la dell'impronta ecologica personale che, oltre a farci rendere conto dell'impatto che abbiamo, permette dei correttivi sul proprio stile di vita soltanto minimi, risulta molto interessante calcolare l'impronta a livello di comunità. Con adeguati modalità di calcolo è stata misurata l'impronta di diversi Paesi, di diverse regioni italiane, di alcune provincie ed anche di alcune città come Ancona, Cagliari e Siena. Potrebbe essere interessante calcolare anche l'impronta a livello comunale di Milano o, per rendere il dato più significativo, a livello di hinterland.


Molto possiamo e dobbiamo fare per evitare il collasso del nostro sistema economico e la catastrofe ecologica, anche partendo da semplici azioni quotidiane. Iniziative comunali come la raccolta differenziata, la promozione del consumo di prodotti locali, i punti di distribuzione dell'acqua e così via vanno nella giusta direzione, l'unica percorribile per evitare l'autodistruzione.
Cos'altro è possibile fare per modificare la logica economica causa dell'attuale crisi – che ha radici profonde, collegate all'ingiustizia sociale e alla logica capitalistica del profitto fine a se stesso – verso un nuovo modello, etico e sostenibile?

La risposta si trova nella capacità di proporre soluzioni creative, di indignarsi per le ingiustizie causate dai modelli di consumo “Occidentali”, di reagire all'abitudine e agli schemi ordinari di pensiero e di resistere al torpore che la società di massa tende per sua natura a somministrare nei nostri corpi e nelle nostre menti.

Dario Pagnoni

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